ROMANZI


SE QUESTO E' UN UOMO


AUTORE: Primo Levi

ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1945

GENERE: Drammatico

CASA EDITRICE: Einaudi

Presentazione

La storia vera di un ebreo italiano, Primo Levi, deportato ad Auschwitz (un campo di concentramento tedesco in Polonia),durante la Seconda Guerra Mondiale. Atroci sono gli eventi narrati in prima persona dall'autore. Un libro volto a rimanere nella storia per le terribili testimonianze riportate e per la volontà di chi l'ha scritto di insegnare all'umanità che quanto è successo non possa più accadere.

Trama

La vicenda dell'autore inizia la notte del 13 dicembre 1943, quando Levi venne sorpreso sulle colline torinesi, insieme ai suoi compagni, da un reparto della milizia fascista. Dopo averci narrato in termini lapidari come venne catturato dai fascisti e condotto nel campo di concentramento di Fossoli, e dopo averci descritto, attraverso pagine altamente drammatiche, come gli ebrei internati nel campo accolsero l'annuncio della deportazione, Levi affronta la descrizione del viaggio che lo condurrà, in un convoglio composto da dodici carri, chiuso dall'esterno e in cui si affollavano uomini, donne e bambini, dalla piccola stazione di Carpi, in Italia, ad Auschwitz, nell'alta Alesia.
Giunti a destinazione (qui sopra l'ingresso di Auschwitz con la scritta: ARBEIT MACHT FREI, il lavoro rende liberi), il meccanismo dell'annientamento si mette subito in moto: è il primo episodio di una lunga serie di eventi simili il cui unico scopo è quello di giungere, per gradi, alla totale eliminazione dei deportati. Coloro che sono in grado di essere utilizzati come mano d'opera fino allo sfruttamento completo di ogni risorsa umana, vengono condotti ai campi di lavoro; tutti gli altri, vecchi, inabili, bambini, invece avviati alle camere a gas.
Coloro che si trovano in buone condizioni vengono spogliati, rivestiti con casacche a righe, e zoccoli, tatuati sul braccio sinistro con il numero di matricola che d'ora in avanti sostituirà il loro nome, si trasformano da uomini in "Häftlinge", cioè in prigionieri (foto sotto). Da questo momento il nome di Primo Levi sarà: 174517.

Gli "abili", a piedi, percorrono anche grandi distanze (spesso nella neve e esposti al vento insistente che accompagna il rigido inverno polacco di Auschwitz),per raggiungere il campo di lavoro che è stato loro assegnato.
La narrazione prosegue addentrandosi, e descrivendo le abitudini di quell'inferno, che è la vita in un Lager. Tutti gli internati vengono trasferiti ogni giorno presso una fabbrica di gomma, chiamata la Buna, e sotto la sorveglianza di un Kapò, svolgono un lavoro massacrante. Ben presto i più deboli soccombono alle malattie e alle privazioni.
Non è trascorso molto tempo dal suo arrivo nel campo quando Levi, trasportando un carico pesante, cade e si ferisce un piede. Quella stessa sera si presenta all'infermeria, la Ka-Be, dove resterà per una ventina di giorni. È proprio qui che l'autore assiste alla sbrigativa procedura con cui le SS, prescelgono coloro da inviare alle camere a gas. Viene quindi destinato ad un altro Block, dove ha la fortuna di incontrare Alberto, il migliore amico che si farà al campo, con cui poi condividerà il privilegio di essere assegnato al Kommando chimico.
Poco tempo dopo dovrà sostenere un prova per poter essere ammesso al laboratorio di chimica del campo. Miracolosamente, nonostante la soggezione provocata dall'esaminatore il dottor Pannwitz, Levi riesce a superare l'esame. Rimarrà aggregato al Kommando chimico, ma passeranno diversi mesi, contrassegnati da sempre nuovi patimenti e da un'altra selezione, prima che entri a far parte, insieme ad altri due prigionieri, uno belga e l'altro rumeno, degli specialisti di laboratorio e possa cominciare a nutrire la speranza di superare il suo secondo inverno nel campo.
Nel frattempo (dicembre 1944) sono iniziati i bombardamenti Alleati sull'Alta Alesia, e anche la fabbrica di gomma viene colpita, tutto fa presagire, come prossima, la catastrofe del Terzo Reich, ma non per questo il ritmo di lavoro dei prigionieri subisce un rallentamento o le loro sofferenze diminuiscono. Episodio rilevante, nonostante sia assai drammatico, è l'impiccagione di un uomo accusato di aver organizzato un complotto per l'ammutinamento dei prigionieri del campo; gli Häftlinge vengono condotti sul luogo dell'esecuzione, dove il condannato prima di morire si rivolge ai compagni così: "Compagni, io sono l'ultimo!".
Dopo questo episodio gli eventi precipitano, il fronte russo si sta avvicinando e il Lager viene evacuato (19 Gennaio 1945). Nel campo rimangono solo circa ottocento ammalati, tra i quali anche l'autore poiché colpito dalla scarlattina, abbandonati a se stessi, senza cure, né acqua, né cibo, ad una temperatura di venti gradi sotto zero. Levi è tra i pochissimi che riesce a sopravvivere e le ultime, terribili pagine del libro, scritte sotto forma di diario, ci danno la cronaca di ciò che accade in questi dieci giorni, dal 19 al 27 gennaio 1945, data della liberazione.

Personaggi

Innanzi tutto, nel campo esistevano tre categorie di prigionieri che si distinguevano tra loro per il diverso contrassegno che portavano sulla giacca: gli ebrei una stella rossa e gialla, i politici un triangolo rosso, i criminali un triangolo verde.
Levi divide inoltre i personaggi in due categorie: i salvati e i sommersi, dedica a questa distinzione un intero capitolo portando diversi esempi. Fra quelli della prima categoria: l'ebreo galiziano Schepschel che riesce a sopravvivere grazie ad espedienti di ogni genere e piccoli traffici; l'ingegnere Alfred L. che attraverso una laboriosa ostentazione di prosperità riesce a conquistarsi un posizione di rispetto; l'energumeno Elias Lindzin, che nonostante la sua statura, possiede una notevole forza fisica tanto da renderlo fisicamente indistruttibile; il giovane Henri, che avendo capito i tre metodi per sopravvivere ( sapersi organizzare, rubare, suscitare pietà), si guadagna la simpatia degli altri. Nella seconda categoria si riconosce Null-Achtzehn, cioè "Zero Diciotto", talmente indifferente a tutto, che non reagisce neppure più ai maltrattamenti e alle percosse, che mostra l'agghiacciante metamorfosi di un uomo sottoposto all'opera di annientamento messo in atto dal Lager.
Levi ci propone, poi, la descrizione di numerosi compagni ecco i più significativi:

ALBERTO: è il suo migliore amico, lo incontra all'uscita dall'infermeria e non si separerà più da lui fino alla sua partenza il 18 gennaio 1945, e da quel momento non si rivedranno mai più, poiché, quest'ultimo, morirà durante un'interminabile marcia attraverso la Germania. "Non ha che ventidue anni, due meno di me, ma nessun italiano ha dimostrato capacità di adattamento simili alle sue ha capito prima di tutti che questa vita è guerra; non si è concesso indulgenze, non ha perso tempo a recriminare e a commiserare sé e gli altri…" La loro era sicuramente una grandissima amicizia "Era il mio indivisibile: noi eravamo "i due italiani", e per lo più i compagni stranieri confondevano i nostri nomi. Da sei mesi dividevamo la cuccetta, e ogni grammo di cibo organizzato extra-razione "

LORENZO: un operai civile italiano che lavorava alla fabbrica di gomma; che mosso dalla compassione per la sorte di Levi, senza pretendere alcun compenso, cercò di aiutarlo, sfamandolo per sei mesi. "Io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto ad di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancor puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all'odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi."

CHARLES e ARTHUR: sono due compagni di stanza, che durante i dieci giorni precedenti la liberazione lo aiuteranno a sopravvivere. "I due francesi con la scarlattina erano simpatici. Erano due provinciali dei Vosgi, entrati in campo da pochi giorni… il più anziano si chiamava Arthur, era contadino, piccolo e magro. L'altro, suo compagno di cuccetta, si chiamava Charles, era maestro di scuola e aveva trentadue anni"


Giudizio

Sono riuscito a decifrare nella lettura il messaggio della testimonianza di un deportato in un campo di sterminio che diviene una lezione di vita: crudeltà incredibili da un lato, dall'altro la lotta per difendere la propria dignità, per il diritto di esistere, per poter essere un "uomo".
Levi in quest'opera, non si limita a dare una registrazione delle proprie esperienze, a offrire un documento umanissimo delle sofferenze, ma riesce anche ad esprimere un giudizio sull'atrocità di quelle stesse sofferenze, con il distacco che proviene dalla sua volontà di comprendere le leggi che regolano il comportamento degli uomini, per riuscire a capire il mostruoso fenomeno del Lager. "Ci si potrà forse domandare se proprio metta conto, e se sia bene, che di questa eccezionale condizione umana rimanga qualche memoria. A questa domanda ci sentiamo di rispondere fermamente. Noi siamo infatti persuasi che nessuna umana esperienza sia vuota di senso e indegna di analisi, e che anzi valori fondamentali, anche se non sempre positivi, si possano trarre da questo particolare mondo di cui parliamo." L'autore ci vuole inoltre proporre lo spaccato di un mondo in cui la lotta per la vita, ridotta al suo meccanismo primitivo, si riconosce come uno spietato processo di selezione naturale, dove l'unico elemento di differenziazione tra gli uomini è determinato solo dalla loro capacità o incapacità di imporsi, di dominare al fine di sopravvivere. "Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce che suona: "a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto". Nel Lager, dove l'uomo è solo e la lotta per la vita, riducendosi al suo meccanismo primordiale, senza dare importanza a chi gli sta attorno: "…povero sciocco Kraus. Se sapesse che non è vero ciò che ho pensato di lui, che per me anche lui è niente…niente come tutto è niente quaggiù, se non la fame dentro, e il freddo e la pioggia intorno". Levi fa notare che tutte le azioni compiute nel campo da parte dei tedeschi, hanno sempre un sottofondo di ilarità; come esempio si può notare l'insegna vivamente illuminata all'entrata del campo dove spiccano le parole: ARBEIT MACHT FREI (Il lavoro rende liberi). "la mia idea ormai è che tutto questo è una grande macchina per ridere di noi e vilipenderci, e poi è chiaro che ci uccidono, chi crede di vivere è pazzo, vuol dire che ci è cascato, io no, io ho capito che presto sarà finita,…" L'unica cosa, forse, che permette ai prigionieri di rimanere in vita e di non scordare completamente la loro identità, è la parola, la possibilità di comunicare con chi gli sta vicino durante il lavoro, poiché i giorni nel loro succedersi allucinante, sono: uguali, e pur imprevedibili, segnati dalla fame, dalla fatica, dalla paura, che annebbia lo spirito, confondendo bene e male, e doma i corpi, fino al cedimento, alla malattia, occasione questa di selezioni micidiali, per far posto a nuove ondate di sventurati.
Primo Levi, con questo libro, lancia un messaggio, civile e morale, su cui riflettere: che utilità ha mai avuto questo inspiegabile sterminio di massa, spinto solamente da un ottuso odio razziale? L'errore è oramai stato commesso, ma guai a ripeterlo. Levi ha reagito, ha cercato di sopravvivere a tutto ciò, e ce l'ha fatta; ma molti altri, pur avendo combattuto, sono morti senza motivo, uccisi nelle camere a gas o caduti per l'eccessivo lavoro. Di fronte a tutto questo, non ci si può permettere di rimanere indifferenti; non si può dimenticare, e, anche se non ci sembra vero, è necessario che ognuno di noi porti memoria di quanto accaduto in quei luoghi: "Oggi, questo vero oggi in cui io sto seduto a un tavolo e scrivo, io stesso non sono convinto che queste cose siano realmente accadute." Primo Levi.

Autore

Emanuele Mambretti